Tre anni di anzianità maturati negli ultimi otto anni. Su queste due cifre si gioca il nuovo «piano straordinario» di assunzioni per i precari “storici” della pubblica amministrazione, una platea che dalla Funzione pubblica calcolano in circa 50mila persone.
Il piano riguarda tutta la Pa, ma i suoi effetti sono destinati a concentrarsi negli enti territoriali. Sanità, regioni ed enti locali, come mostrano i numeri della Ragioneria generale, assorbono da soli il 70% dei contratti a tempo determinato, che rappresentano l’ampia maggioranza delle forme di lavoro “flessibile” nella Pa.
La nuova finestra per la “stabilizzazione”, se saranno confermati fino all’approvazione definitiva del decreto legislativo i contenuti dei testi esaminati giovedì in consiglio dei ministri, al primo via libera, rimarrà aperta tre anni (2018-2020) e offrirà due percorsi: l’assunzione diretta per i precari che hanno già superato una selezione, come accade in particolare per i contratti a tempo determinato, e quote riservate (fino al 50% dei posti disponibili nei testi finiti sul tavolo del consiglio dei ministri) nei concorsi per chi invece ha cominciato a lavorare nella Pa con chiamata diretta.
Fuori gioco restano i dirigenti e, come sempre in questi casi, i titolari di incarichi nati da nomine politiche, che lavorano negli uffici di diretta collaborazione di ministri e sottosegretari oppure negli staff dei sindaci (articolo 110 del Testo unico degli enti locali), perché l’anzianità maturata in questa veste non conterà per il calcolo dei tre anni necessari ad ambire alla stabilizzazione.
I confini del nuovo piano straordinario escludono anche la scuola, dove valgono regole su misura per il settore, mentre per medici, tecnici sanitari e infermieri viene prolungato di un anno, fino al 2018, il meccanismo dei concorsi straordinari avviato con la legge di Stabilità di due anni fa (208/2015, comma 543) per adeguare le strutture sanitarie alle norme europee sull’orario di lavoro.
La geografia del precariato che si concentra in Regioni ed enti locali rende delicato il tema, anche sul terreno finanziario. Il «piano straordinario per il superamento del precariato» non deve moltiplicare la spesa pubblica per il personale, e per gestire le nuove assunzioni le amministrazioni potranno in pratica “spostare” una quota di spesa dal personale precario a quello stabile. Le regole scritte nel decreto prevedono infatti che i tetti alle assunzioni possano essere alzati per fare spazio al personale da stabilizzare, abbassando però contemporaneamente i limiti di spesa per i contratti flessibili. Il tutto, poi, deve rientrare nella programmazione triennale sul personale, anche perché la stessa riforma prevede la nullità delle assunzioni che non vanno d’accordo con il piano triennale. Negli enti interessati dal programma straordinario viene bloccata la possibilità di sottoscrivere nuovi contratti flessibili, per l’ovvia esigenza di evitare che torni a riempirsi lo stesso bacino che si tenta di svuotare. I precari attuali, se hanno i requisiti per ambire al posto fisso, potranno però vedersi prorogati i contratti con una soluzione-ponte verso la stabilizzazione.
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